Attualmente, secondo i registri dell’Enci, in Italia vengono registrati circa 900/950 cuccioli di bovaro del bernese -senza contare svariate centinaia di altri cuccioli che non vengono registrati  alla nascita, per le cause più varie (più o meno giuste), che di conseguenza non appartengono ufficialmente alla razza (neanche mediante un successivo certificato di tipicità o anche un esame del DNA; non voglio entrare in polemica con le direttive ufficiali degli organi preposti, ma non capisco il perché della chiusura del pedigree)-, una razza quindi abbastanza diffusa sul territorio nazionale (maggiormente al nord, anche per le più favorevoli condizioni climatiche), rispetto ad altri grandi cani da montagna. Quello che preoccupa, almeno a mio avviso (sinceramente non credo di essere l’unico), è lo stato fisico e caratteriale di molti soggetti che è possibile incontrare nel nostro Paese. Oramai, è più di un anno, infatti, che frequento esposizioni cinofile nazionali e allevamenti specializzati nella razza; il dato che emerge tristemente è l’impoverimento e la totale trasformazione psico-caratteriale del nostro caro amico: il professor Albert Heim, grande cultore della razza, narrava di un cane grande, maestoso, fiero, che controllava le fattorie svizzere rimanendo in una posizione privilegiata, abbaiando e scoraggiando i malintenzionati. Ed oggi? Cani che, grazie ai grandi allevatori specializzati,  vivono vite rinchiuse in box, per uscire solo il giorno delle esposizioni trasportati in angusti kennel (non sviluppando adeguatamente e pienamente il loro patrimonio caratteriale), mangiano esclusivamente crocchette di alta qualità, si lasciano toelettare immobili per ore e ore su traballanti tavolini, dormono su comodi sofà, si lasciano spalmare amido di patate sulle parti bianche del corpo…..Mi fermo un secondo. Capisco le esposizioni, la giusta presentazione del cane, ma mi chiedo cosa è rimasto del grande cagnone fiero descritto dal professor Heim. In Italia, purtroppo, molti allevatori che sono convinti di fare il bene della razza stanno svilendo, trasformando ad uso e consumo della moda il carattere di un cane che, da sempre, è il bovaro-contadino elvetico per eccellenza: un cane rustico, affettuoso con il padrone, ma giustamente diffidente e abbaiatore verso gli estranei, un cane parco (verso la fine del 1800 non credo che era molto il cibo che i contadini elvetici mettessero a disposizione dell’antico bovaro) e, si suppone, piuttosto sano per lavorare nelle fattorie e addirittura trasportare pesanti carretti (come amano mostrare anche numerosi allevatori) e non un cane dal carattere remissivo, oramai inadatto al lavoro, insomma uno dei tanti cani da compagnia (senza sminuire affatto tali cani) che è possibile acquistare sul mercato. La selezione di una specie (caratteriale e fisica), come diceva anche il grande Conrad Lorenz, dipende anche dal tipo di ambiente di riferimento e dal modo in cui viene allevata; quindi, credo umilmente, che ogni allevatore italiano prima di sminuire a semplice orsacchiotto di peluche, da portare in trasmissioni televisive, il grande bovaro del bernese, dovrebbe ben valutare quello che è veramente il bene di una razza che è stata selezionata, in modo quasi spontaneo, dai contadini delle Prealpi bernesi esclusivamente per il lavoro. Un altro punto che non può non risaltare agli occhi di tutti i conoscitori (più o meno esperti) della razza è quello riguardante la salute: il bernese ha una vita medi tra i 7 e gli 8 anni (è tra i cani meno longevi) ed è soggetto a tutta una serie di patologie più o meno gravi (entropion, ectropion, istiocitosi maligna, tumori polmonari ed altre). Non bisogna dimenticare, inoltre, il problema della displasia dell’anca e del gomito: le stime parlano di un 20% di soggetti radiografati affetti da più o meno leggera displasia dell’anca e di un quasi 50 % affetti da displasia del gomito. Oggi, anche se i controlli, imposti dai  vari club di razza (molte razze grandi sono affette da queste patologie), stanno cercando di limitare il problema (anche se bisognerebbe valutare l’attendibilità di questi controlli; ma questa è un’altra storia), escludendo dall’elenco  riproduttori i soggetti affetti, sembra quasi assurdo che un cane nato per il lavoro, per la vita contadina appaia così fragile e facilmente soggetto a tali patologie: gli allevatori parlano di una patologia multifattoriale in cui subentrano oltre a fattori genetici anche fattori alimentari e di movimento, ma mi chiedo se sia mai possibile che una marca o un’altra di crocchette possono trasformare lo sviluppo articolare di un cucciolo o anche se sia mai possibile che un cucciolo che corre e salta possa facilmente sviluppare tale patologia. Non  bisogna essere dei medici per capire che difficilmente in una fattoria elvetica degli inizi del 1900 ci fosse il tempo per seguire una corretta tabella alimentare dei cuccioli nati o per evitare che saltassero ovunque, eppure i cani erano più sani, più longevi e meno displasici (una parola che molti allevatori amano ripetere). Il bovaro è stato selezionato in un ambiente contadino nel quale, è noto da sempre, il risparmio è fondamentale: un  cane che costa molto, vive poco, si ammala spesso non avrebbe avuto alcun senso.

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